Questione di...etica



Oggi mi trovo a scrivere un articolo diverso dal solito, frutto dei pensieri che mi frullano nella testa da poco più di un anno a questa parte. Lo scopo del mio blog è quello di far conoscere alle persone la vita reale di una biologa marina, al di là dell’idea idilliaca che ci si può fare basandosi su film come Flipper...e quello di cui vi parlerò tra poco è senza dubbio qualcosa di autentico e personale, una riflessione nata da esperienze provate da me in prima persona.

Ho sempre amato gli animali, marini e non, e ho sempre avuto una grande sensibilità nei loro confronti. Ricordo che da bimba mio papà mi insegnava a rispettare anche le creature più piccole come le formiche e, mentre gli altri bambini si divertivano a distruggere i formicai, io li difendevo e rimanevo incantata a osservare quei piccoli animali operosi.
Con i miei studi poi ho imparato a conoscere ancora più da vicino gli animali e in particolar modo quelli marini, e questo non ha fatto che accentuare il senso di protezione verso queste creature: in fondo si protegge quello che si ama, no?

Dopo la laurea magistrale, rientrata da un periodo di lavoro all'estero, sentivo la necessità di stare un po’ a casa. Ma quali possono essere le opportunità per un biologo marino in Italia? Tra tutte (e non sono poi così tante) quella che sentivo più affine a me era il lavoro come acquarista all'interno di un acquario: mandai il cv, incrociai le dita e riuscii ad ottenere il lavoro.
Ed è proprio a questo punto che il mio cervello iniziò a riflettere e a interrogarsi sull'etica del mio lavoro. In un anno all'acquario ho curato e accudito quelle creature più di me stessa, mettendo completamente in stand-by la mia vita e trascorrendo con loro tutte le festività del calendario. Preparavo il loro cibo con amore e stavo in pensiero se qualcuno non mangiava o si comportava in modo anomalo.
Sono sempre stata contraria ai circhi, agli zoo e agli acquari. Non ho mai capito cosa autorizzasse l’uomo a strappare gli animali dal loro ambiente naturale per rinchiuderli in delle gabbie. Trovarmi coinvolta in questo ambiente e prendermi personalmente cura degli animali mi aveva però parzialmente fatta ricredere: mi raccontavo che fosse un “male necessario” per riuscire a sensibilizzare le persone e per insegnare il rispetto verso l’ambiente marino che, sfortunatamente, non è accessibile a tutti. Questa storia però vacillava ogni volta che moriva un pesce, facendo puntualmente riaffiorare tutte le mie perplessità e i miei pensieri più cupi.

Lasciato l’acquario ho avuto la possibilità di lavorare in un ingrosso di pesci per acquari. Qui la realtà che mi sono trovata ad affrontare era ben lontana da quello a cui ero abituata: la morte degli animali non rappresentava più un evento sporadico bensì una routine consolidata, i pesci erano magri, stressati e stipati in vasche sovraffollate. I primi tempi a stento trattenevo le lacrime di fronte ad una simile situazione. Il disagio e il senso di colpa verso quelle povere creature si erano fatti così forti da manifestarsi con un mal di testa insopportabile che non ha cessato di tormentarmi finché non mi sono allontanata da quel luogo.

Pensate di essere un felice pesciolino che nuota nel reef o in un fiume tropicale quando un bel giorno qualcuno arriva, vi spaventa a morte cercando di catturarvi e, quando esausti vi arrendete, vi mette in un sacchetto di plastica con l’acqua che vi tiene a stento completamente immersi e vi infila in un box sovraffollato e al buio. Ma questo è nulla in confronto a quello che deve ancora venire. Finite nella stiva di un aereo al freddo, direzione Italia, dove restate per almeno una decina di ore. Finalmente atterrate, ma il vostro viaggio non è ancora terminato. Dopo essere stati sballottati da una parte all'altra da operatori più o meno attenti alle vostre esigenze, venite caricati in un bel furgone che dall'aeroporto imbocca l’autostrada per giungere, dopo qualche ora, a destinazione.

Come vi sembra come viaggio? Come pensate che possano stare degli animali dopo una simile avventura?

Bisogna riconoscere che i poveri pesci fanno del loro meglio per sopravvivere e, se all'arrivo trovano qualcuno che se ne prende cura con amore, riescono anche a smaltire lo stress e a riprendersi....prima di finire nuovamente in un sacchetto destinati ad una sovraffollata vasca in un negozio di acquari....e poi di nuovo in un sacchetto fino all'acquario nella casa di qualcuno.
In tutto questo processo i caduti non si contano sulle dita di una mano, piuttosto si misurano in kg. Di fronte a questa situazione una domanda non ha lasciato per un attimo la mia testa: è veramente giusto quello che stiamo facendo? L’avere in casa un bel pesce tropicale che ci aiuti a rilassarci dopo una stressante giornata di lavoro è un motivo sufficiente per giustificare la morte di tanti innocenti animali?

Credo che la chiave di tutto sia il rispetto: gli animali sono esseri viventi, non oggetti costosi. A maggior ragione se si guadagna sfruttando proprio gli animali, non credete che il minimo che gli si debba sia trattarli con rispetto?
Non condanno gli appassionati di acquariofilia che allestiscono con cura le vasche per i loro piccoli ospiti, credo però che sia mio dovere incoraggiarli a porsi delle domande riguardo agli animali che si portano in casa. Sapete da dove arrivano? Se sono di cattura o di allevamento? Qual è lo stato delle popolazioni naturali? Il vostro fornitore ha a cuore il loro benessere?

Rispetto e consapevolezza sono armi potenti che noi tutti possiamo e dobbiamo usare per contrastare i danni causati dall'ignoranza e l’indifferenza.



Commenti

  1. Ciao, ovviamente la storia di ognuno di noi, le esperienze e la formazione didattica ci rendono più o meno sensibili a certi aspetti della natura. Biologo, sub ed acquariofilo fin dall' epoca immediatamente successiva a Korand Lorenz , ho fatto, visto e vissuto esperienze simili. Mi sono fatto mille domande e me le continuo a fare se sia giusto o sbagliato. Ho visitato i paesi dove vengono catturati i pesci e conosciuto chi ne fa del suo affare di vita. Alla fine posso dire tranquillamente che NON possiamo dare una risposta univoca a questa domanda. Perché il nostro mondo è troppo variegato di ossimori etici. Entrando in una pescheria ci giustificbiamo del fatto che è cosa buona e giusta per la nostra sopravvivenza ? Il delfino va protetto...ma il povero tonno in scatola ? L' acquariofilo è e deve essere un amante della natura in tutte le sue forme e rispettoso come lo deve essere un pescatore ed un cacciatore. Ma la realtà spesso non è così. È la colpa è dell' ignoranza del singolo e della collettività. Personalmente i miei ospiti pinnuti hanno avuto ogni tipo di attenzione possibile ma certo ho alimentato quello che c è dietro a tutto questo di cui parlavi. L' unico modo, a mio avviso, per rendere giusto o eticamente giustificabile è immergersi nella conoscenza e nella coscienza dell' acquariofilia generale, divulgando i principi che ne conseguono. Imparare ed insegnare dalle esperienze per poter ottenere risultati a favore della natura. Un esempio ne è stato la riproduzione dei coralli. Ormai i veri appassionati acquistano animali solo riprodotti in cattività preservando così le bellissime e delicatissime barriere coralline. Questo è oggi possibile grazie alle ricerche che abbiamo fatto in acquario...

    Luca Ballatori

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    Risposte
    1. Ciao Luca,
      grazie per il tuo commento. Fortunatamente ci sono anche tanti appassionati che come te verificano la provenienza di pesci e coralli prima di acquistarli, studiano e cercano di trasferire le proprie conoscenze a neofiti e persone meno informate.
      Purtroppo però, come giustamente hai detto anche tu, c'è molta ignoranza sia nel singolo che nella collettività e credo sia nostro dovere fare il possibile per contrastarla.

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