Le gioie della subacquea: la semistagna


Biologia marina e subacquea vanno di pari passo, a tal punto che è proprio l’università a far brevettare gli studenti. É così che nel 2013 mi sono avvicinata a questa realtà, che non ho poi più saputo abbandonare. Cosa ci può essere di meglio per un biologo marino di nuotare insieme alle creature studiate sui libri e di sentirsi parte del mondo sommerso? A parere mio nulla. A dirla tutta qualche volta mi sembra addirittura di essere più a mio agio sott’acqua che fuori.
Se la subacquea sa regalare delle emozioni grandissime sott’acqua, è anche vero che all’asciutto sa far penare notevolmente. Personalmente me ne accorsi ben presto quando, per la prima volta nella mia vita, indossai una muta semistagna.

“Le mute che si usano nella subacquea sono 3: umide, semistagne e stagne”ci spiegava l’istruttore alla prima lezione di teoria del corso sub “le prime si usano in acque calde, le seconde e le terze in acque più fredde come per esempio nel Mediterraneo”. Visto che il corso si sarebbe svolto in Mediterraneo e così pure la mia attività universitaria e le mie vacanze estive, optai per la semistagna. Scoraggiata a noleggiarne una dalle raccapriccianti leggende metropolitane sui funghi che abitano le mute dei diving decisi di fare un investimento e comprarla.

Ricordo ancora l’emozione che provai entrando nel negozio, mi sentivo come quando da bambina indossai per la prima volta un tutù a danza. Venni travolta dall’odore del neoprene e rimasi incantata a fissare un centinaio di mute appese in esposizione. Premetto che era una calda giornata estiva e che nel negozio non c’era l’aria condizionata. “Bene Giulia, inizia provando questa muta, è l’ultimo modello e ci è appena arrivata” disse il commesso passandomi una muta “e mi raccomando tieni addosso i calzini così fai meno fatica a infilarla”. Non mi era chiaro perché avesse parlato di fare fatica a infilarla, nel mio immaginario mettere una muta era come indossare dei pantaloni. Avevo visto tanti documentari con subacquei e nessuno si era mai lamentato della fatica di indossare la muta. Dopo la mia esperienza capii che se nei documentari non mostrano il momento della vestizione dei subacquei un motivo c’è.

Ingenuamente euforica infilai il primo piede nella muta...poi il secondo...e iniziai a tirarla su. Mi resi ben presto conto che era il caso di sedersi per riuscire a procedere. Piano piano arrivai a metà coscia, poi con qualche sforzo riuscii a passare lo scoglio del sedere e a indossare la muta fino alle braccia. A questo punto mi fermai a riflettere: non mi capacitavo di come la mia testa sarebbe riuscita a infilarsi nel collo minuscolo della muta. Una volta un’amica subacquea descrisse questo passaggio in modo estremamente chiaro, che vi farà capire perfettamente la sensazione che si prova, dicendo che “è come nascere una seconda volta”. Fortunatamente il commesso mi aiutò a infilare la testa, chiuse poi la cerniera sulla schiena e mi disse “Ecco fatto, come te la senti?”. Esitai un attimo a rispondere, effettivamente mi sentivo un po’ costretta e limitata nei movimenti ma tutto sommato non stavo male. Guardandomi allo specchio iniziai a fantasticare immaginandomi in mezzo ai pesci, dentro a un relitto, vicino a uno squalo......“Giulia?? Allora? Cosa dici ne proviamo un’altra?”. Tornai con i piedi per terra e aspettai che il commesso mi aprisse la cerniera per rientrare in camerino. “Vuoi della carta per asciugarti?”mi chiese. “No no non sono sudata, grazie” gli risposi ignara della mia situazione. In effetti non ero sudata, la muta si era direttamente fusa con la mia pelle in un’unione a dir poco umidiccia. Tolta la muta mi resi conto di essere completamente bagnata dal sudore e, per non richiedere la carta che avevo appena rifiutato, cercai di asciugarmi alla meno peggio con un fazzoletto che avevo in borsa.

Altro giro altra corsa, seduta sullo sgabello iniziai a infilare i piedi nella seconda muta. Questa volta però le prime difficoltà si presentarono già a livello dei polpacci: ero talmente sudata che la muta non ne voleva proprio sapere di andare su. Dopo 5 minuti di estenuante lotta finalmente uscii vittoriosa dal camerino ma...guardandomi allo specchio mi resi tristemente conto che il cavallo della muta era rimasto a metà coscia. “Aspetta che vediamo se sale con un po’ di aria” mi disse il commesso andando a prendere una bombola. In men che non si dica mi trasformai in un omino Michelin e magicamente la muta si staccò dalla mia pelle permettendomi di tirarla su. Non trovo le parole per descrivere il benessere che provai in quel momento...era come se non avessi più nulla addosso. Questa piacevole sensazione non fu però sufficiente a cancellare la fatica fatta: ormai quella muta mi era andata in disgrazia e così decisi di acquistare la prima che avevo provato.

Amo la mia muta ed è sicuramente una delle semistagne più confortevoli che ci siano sul mercato. Non vi nascondo però che anche lei mi ha dato del filo da torcere nel corso della nostra relazione. Infatti, cosa che non avevo considerato al momento dell’acquisto, purtroppo ad agosto fa caldo, molti diving non hanno l’aria condizionata e, come avrete ormai capito, la muta non va d’accordo con il sudore. Di (fantasiosi) consigli dagli esperti ne ho ricevuti tanti e altrettanti sono stati i miei tentativi di trovare un modo poco faticoso per indossarla: usando sacchetti di plastica, con i calzini, con le calze, bagnandola, non bagnandola....alla fine con la pratica le cose sono decisamente migliorate ma non nascondo che prima di iniziare penso sempre “oddio”.


Certo, alla fine soffrire 5 minuti per poi passare un’ora nel mio amato mondo sommerso vale decisamente la pena, voi che dite?

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